Sir David Lean
“Lawrence d’Arabia” e altri capolavori.
Il produttore Sam Spiegel e il regista inglese Davide Lean alla fine degli anni Cinquanta non pensavano affatto a “Lawrence d’Arabia”. Reduci dal successo planetario de “Il ponte sul fiume Kwai” erano pronti a realizzare un film sulla vita di un grande personaggio: il Mahatma Ghandi… pensando che l’idea del kolossal storico che mette al centro dell’azione un uomo al quale il destino affida un compito eccezionale fosse la formula vincente.
È proprio da quel loro viaggio in India, durante i sopralluoghi necessari per organizzare l’imminente progetto cinematografico sulla grande guida spirituale indiana, che nasce al produttore Spiegel l’idea di realizzare insieme a David Lean “Lawrence d’Arabia” ovvero: la trasposizione cinematografica del libro di Thomas Edward Lawrence “I sette pilastri della saggezza”.
La miccia si innesca e il passo è breve. Messo da parte il progetto su Ghandi, che sarà realizzato da Richard Attenborough nel 1982, acquistano i diritti cinematografici del libro di Edward Lawrence e chiamano a collaborare un grande sceneggiatore, Robert Bold (“Mission”, “Il Dottor Zivago”).
Dopo pochi mesi nasce la prima stesura di Lawrence d’Arabia: la storia di un uomo, un po’ eroe, un po’ avventuriero, un po’ idealista, un po’ strumento dell’Imperialismo Britannico in Medio Oriente che si allea e combatte con gli arabi per dare un colpo mortale all’Impero Ottomano. La macchina produttiva si mette in moto e lo fa alla grande, la diplomazia britannica gli procura prima un incontro con l’allora giovane Re di Giordania Husayn che oltre alla proprie squadre speciali su cammello mette a disposizione centinaia di Beduini, poi con il Re del Marocco Hassan, che in nome della causa fornirà gratuitamente la Cavalleria, i cammelli per i membri della troupe e tutti i soldati del suo esercito. In definitiva ad un cast stellare (Peter O’Toole, Alec Guinness, Omar Sharif, Anthony Quinn, Josè Ferrer) si accompagnavano migliaia di uomini autentici per garantire una verità figurativa e storica mai vista prima di allora in un kolossal. Girato prevalentemente in Spagna e più precisamente a Siviglia dove, tra vero e falso, vennero ricostruite intere strade e interi quartieri di Damasco e Gerusalemme, il film – da 18 milioni di dollari – è stato definito da Spielberg come: “la pellicola che ha cambiato per sempre il modo di fare il cinema”.
Sir David Lean, il regista di Lawrence d’Arabia, muore nel 1991 all’età di 83 anni e in tutta la sua lunga vita dirige solo 12 film. Nato a Croydon, un borgo di Londra nel 1908, era un uomo di cinema rigorosissimo e lavorava per interi anni ad un progetto. Famosissime le sue infinite riscritture, ma ancora più famose le sue manie per i dettagli, per la precisione storica e per la tecnica cinematografica.
Aveva cominciato a lavorare nel cinema come assistente di montaggio verso la metà degli anni venti, il suo primo film “Eroi del mare” è del 1942. Grande amico del drammaturgo inglese Noel Coward, porta sulle scene molte delle sue pièce teatrali ed è con il film del 1945 “Breve incontro”, tratto proprio da un atto unico dell’amico Coward intitolato “Vita tranquilla”, che conquisterà la fama internazionale: un uomo e una donna con una mediocre esistenza alle spalle si incontrano, si innamorano, passano insieme qualche giornata e si lasciano, la storia è semplicissima eppure David Lean grazie ad una pregevole messa in scena dall’impianto teatrale racconta tutte le fragilità emotive e le trappole mentali che si celano dentro di noi.
Il suo attore feticcio era il grande Sir Alec Guinness, che è presente in quasi tutti i suoi film, dai due Dickens “Le avventure di Oliver Twist” e “Grandi speranze”, fino alla storica trilogia del kolossal, vale a dire “Il Ponte sul fiume Kwai”, “Lawrence d’Arabia” e “Il dottor Zivago”. Finalmente con tre successi così planetari alle spalle David Lean può davvero fare ciò che vuole e infatti nel 1970 fa il film che sognava da anni: “La figlia di Ryan” con Robert Mitchum.
Il film non va molto bene al botteghino, le critiche sono molto severe, gli si rimprovera un inutile gigantismo e una dispersività narrativa a scapito dei due protagonisti. Lui rimane così ferito da quelle critiche che per 14 anni non lavora più e si ritira. Scrive libri, passeggia per le campagne londinesi a lui tanto care, poi finalmente nel 1984 porta sullo schermo un altro romanzo, “Passaggio India” di Foster, ancora una volta con Alec Guinness; la sua successiva impresa sarebbe stata la trasposizione cinematografica del romanzo di Joseph Conrad “Nostromo”, ma purtroppo muore una settimana prima dell’inizio delle riprese.
data: 02/06/2012