Cronache dalla sala – “Wolfman” e “Heavy Rain”
Il cinema videogioco e viceversa.
C’è un interessante videogioco di ultima generazione chiamato “Heavy Rain”,
ispirato per gran parte alle piovose e allucinanti atmosfere di “Seven”, è una sorta di film interattivo dove una trama dagli sviluppi incerti assume risvolti diversi e a volte sorprendenti a seconda delle scelte che facciamo fare al nostro personaggio guida.
L’esperimento in questione, prodotto dalla francese Quantic Dream e diretto dal suo maggiore rappresentante David Cage in uscita il 24 febbraio in esclusiva per Playstation 3, rappresenta una ventata d’aria fresca per il mondo video ludico fin troppo oppresso dallo “smanettamento” forsennato, ma anche per il mondo del cinema che si ritrova a vivere in maniera decorosa dentro ai microchip e alle schede grafiche di una macchina da gioco.
“Heavy Rain” di fatto risulta essere un’ottima esperienza interattiva dove la cosa che più colpisce è la sensazione di come le ore passate a gestire il percorso degli eventi attraverso il joypad, possano tranquillamente sostituire la visione di un film o di una serie Tv.
Di fatto l’intricata vicenda che ruota attorno alle gesta di un pericoloso serial killer che colpisce nel lugubre e infame scenario di una cittadina americana, eredita dal cinema tutta l’atmosfera e la tensione dei suoi migliori prodotti portando il videogiocatore ad appassionarsi in maniera viscerale e partecipe alle azioni e alle reazioni dei propri alter-ego all’interno della vicenda.
Se il cinema comincia a migrare felicemente nelle console di casa è purtroppo anche vero il contrario. Nell’assistere alla visione di “Wolfman”, il nuovo film diretto da Joe Johnston con un Benicio Del Toro che non ci crede mai e un Sir Anthony Hopkins che ricorda tanto il compianto Gianfranco Funari negli ultimi anni di carriera, il film assomiglia per scontata costruzione scenografica e limitato sviluppo narrativo ad un mediocre videogioco dove ciò che più conta sembrano essere i movimenti del mostro, gli aspetti grafici e i barbari smembramenti piuttosto che la ricerca di una reale tensione o la costruzione di una solida atmosfera.
Questo “Wolfman” dal percorso tribolato, annunciato per il 2006, ha cambiato più volte script e regista, è il classico prodotto medio infarcito di insopportabili e improvvisi crescendi sonori e di intrecci scontati a prova di fascia prime-time.
A poco valgono i costumi di Milena Canonero e gli effetti del premio Oscar Rick Baker, il remake dello storico “L’uomo lupo” di George Waggner datato 1941 delude sotto tutti i punti di vista: nessun reale omaggio al predecessore (tranne la faccia da lupo), attori che sembrano in ferie e una traccia di sottotesto ideologico dispersa nelle digitali nebbie vittoriane che fanno da cornice allo svolgersi della vicenda.
data: 22/02/2010