Cronache dalla sala – “Una sconfinata… aridezza”
Cinema medio o mediocre?
Se non siete rimasti intrappolati negli onirici universi trasversalmente paralleli di “Inception” firmati Christopher Nolan, potrete risvegliarvi tranquillamente per continuare la vostra vita di avventori di sale da cinema sperando che un film possa rappresentare per voi più un opera da vivere piuttosto che un generico prodotto da consumare. Premessa necessaria se si vuole analizzare in maniera critica una strana tendenza da parte dello spettatore odierno ad accontentarsi passivamente di un’opera che vede proiettata sul grande schermo.
La grande rivoluzione commerciale/cinematografica di questi ultimi 20 anni (su ispirazione del modello americano) è stata quella di creare cinema multisala in grado di offrire variegati prodotti all’interno di un unico grande complesso. Se da una parte la cosa ha portato un superbo cambiamento in termini tecnologici con schermi adeguati, impianti audio finalmente all’altezza e comode poltrone, dall’altra ha spinto il prodotto cinema verso un livello sempre più ordinario e dozzinale. Di fatto lo scatolone a più sale, oggi più che mai, è diventato un’immensa distesa da pascolo, un luogo che assomiglia più a una sagra di paese piuttosto che a un cinematografo. “Basta che funzioni” sembra ormai essere il grande punto di incontro tra chi produce e distribuisce pellicole di dubbio valore e chi decide di sciropparsele pagando un biglietto d’ingresso. Il frastuono di questi grandi stabilimenti è sempre più assordante, l’educazione del pubblico che guarda un film sempre più irriverente e la tolleranza e la passività con cui si accettano certe scadenti opere è sempre più preoccupante.
Ne è la dimostrazione il recente campione di incassi “Benvenuti al Sud” di Luca Miniero, un film format che copia in tutto e per tutto la trama del fin troppo sopravvalutato “Giù al Nord” film francese del 2008. Se nell’opera originale diretta e interpretata da Danny Boon, il protagonista era un provenzale che si ritrovava nel depresso e antiquato nord della Francia per scoprire, dopo gli iniziali disagi, un meraviglioso mondo antico, nella partitura italiana, il protagonista principale interpretato da Claudio Bisio ripercorre lo schema del film precursore in senso inverso ovvero un milanese scende al sud per scoprire le magnificenza di una terra che all’inizio aveva sottostimato.
Il prodotto in se per sé è di pessima fattura, l’Italia rassicurante che viene raccontata fa rimpiangere un cine-panettone e la commedia all’italiana viene messa alle corde. I nostri grandi maestri si rigireranno nella tomba, nel sapere che i loro successori non riescono neppure più a raccontare la storia di un arrivo nel sud d’Italia. Ma tutto questo al pubblico del grande scatolone non interessa, ciò che conta è ingurgitare senza troppa fatica prodotti scialbi e consolatori per tornarsene mestamente a casa con un nulla di fatto e con un altro titolo destinato a non farsi ricordare soprattutto per originalità.
Sensazione che si prova anche con l’ultimo film di Pupi Avati: “Una sconfinata giovinezza”, l’ennesimo melodramma in “salsa mestizia” del regista bolognese che narra la storia di due coniugi ultracinquantenni alle prese con una malattia degenerativa destinata a trasformare Fabrizio Bentivoglio (che interpreta il marito di Francesca Neri) in un estraneo, per sè stesso e per gli altri. Una trama che ricorda fin troppo da vicino “Far from Her – Lontano da lei”, film con Julie Christie uscito nel 2006 e diretto (dalla giovane Sarah Polley) in una maniera sicuramente più raffinata e meno banale. Nell’attesa di papparci senza riserve “Maschi contro femmine” di Fausto Brizzi e “Figli delle stelle” di Lucio Pellegrini chiediamoci se gli abitanti del nostro paese hanno veramente voglia di vedere qualcosa di nuovo…
data: 10/10/2010