Cronache dalla sala – “Baciami ancora”
La vita… è un’angoscia meravigliosa?
Ma chi sono quegli strani personaggi intrisi di angoscia che si aggirano sul grande schermo per quasi due ore e mezza? Che cosa vogliono raccontare e perché i loro visi e i loro stati d’animo sono un continuo vorticare di pene e di affanni? Se il mondo fosse un film di Gabriele Muccino la vita media si abbasserebbe di almeno vent’anni: le forti emozioni, si sa, corrodono l’animo e nel peggiore dei casi abbassano drasticamente le difese immunitarie… ma per il regista italiano, di ritorno dall’America, la vita sembra essere un’angoscia meravigliosa.
A dieci anni da “L’ultimo bacio” Muccino riprende in mano le vite di Carlo (Stefano Accorsi) e Giulia (Vittoria Puccini) e ci racconta che cosa, purtroppo, non è mutato. I protagonisti invecchiano, ma la musica non cambia grazie ai soliti stereotipi umani troppo banali per essere veri.
Con “Baciami ancora”, il cinema italiano continua la sua inarrestabile marcia di auto flagellazione. In Italia e nel cinema di casa ormai o si soffre o ci si dispera. Abbattuto il sarcasmo e l’ironia, il riso e la spontaneità, il bel paese è sempre più divorato dalla paura dell’instabilità, dalla minaccia del prossimo e dall’ossessione di sé.
Altro che passioni impossibili per “giovani” quarantenni… sarebbe ora di cominciare a parlare, magari attraverso un linguaggio cinematografico preferibilmente sarcastico e magari irriverente, di dove stiamo andando e di cosa siamo diventati.
La lezione di cinema dei maestri italiani non è servita a molto, Antonio Pietrangeli nel lontano 1965 con “Io la conoscevo bene” ci parlava delle meschinità di un paese che ormai ubriacato dagli effetti della dolce vita non riconosceva più il rispetto verso il prossimo; Carlo Lizzani nel 1964 con “La vita agra”, film tratto dall’omonimo libro di Luciano Bianciardi, ci raccontava dei pericolosi e disumani effetti collaterali del boom economico nella grande metropoli milanese; in “Signore & signori” Pietro Germi (1966) costruiva invece un ritratto spietato e crudele del perbenismo attraverso un ritmo narrativo da fare impallidire i nostri nuovi registi. Fulgidi esempi di antiche menti pensanti che attraverso l’aiuto di ottimi autori usavano il cinematografo per stimolare e per aggiungere qualcosa in più.
Quei tempi sono finiti, oggi il cinematografo funziona come un palinsesto televisivo, tanta promozione e tanta offerta a zero contenuti, l’importante è riconoscere lo slogan, apprezzare l’involucro, seguire la musichetta e fare la fila… in questo siamo ormai diventati dei veri professionisti!
data: 30/01/2010