Il Mereghetti 2019
Il 29 novembre esce la nuova edizione del Dizionario dei Film per eccellenza
Ormai è diventato un appuntamento fisso su DVD italy e ne siamo decisamente orgogliosi. Abbiamo contattato Paolo Mereghetti e gli abbiamo fatto qualche domanda inerente alla nuova edizione del Dizionario dei Film, disponibile in tutte le librerie dal 29 novembre, pubblicato da Baldini+Castoldi. Buona lettura!
Quali sono le principali novità di questa nuova edizione del Dizionario dei Film?
«Sono venticinque anni che esce «il Mereghetti» e di novità vere e proprie, nella struttura del dizionario, non ce ne sono: edizione dopo edizione ha trovato una forma che mi sembra ottimale e che non voglio cambiare. Le novità riguardano piuttosto l’«allargamento» dei campi di intervento e di analisi. La più evidente è l’inclusione in questa edizione di più di 150 titoli di film vedibili sulla piattaforma Netflix: non tutti, evidentemente, ma i più importanti per rilevanza degli interpreti o dei registi. Così tra le circa trentatremila schede dell’edizione 2019 ci sono anche quelle di Roma di Cuarón, vincitore del Leone d’oro a Venezia, di The Other Side of the Wind di Orson Welles o di Rodney King di Spike Lee. Poi sono state coperte molte filmografie di autori cari ai cinefili «duri e puri» i cui film spesso si fermano ai circuiti dei festival (penso a registi come Jean Eustache, Kelly Reichardt, Eugène Green, Kiyoshi Kurosawa, Bertrand Bonello, Lav Diaz, André Téchineé, Hirokazu Kore-eda, Mathieu Amalric, Hong Sang-soo, Park Chan-wook, Naomi Kawase o Alain Cavalier) e altre filmografie sono state riviste e riaggiornate (rifacendo molte schede) come quelle di Angelopoulos, Rohmer, Antonioni, Lelouch, Lindtberg, Stahl, David Lean, Jim Jarmush. Due le nuove voci tematiche con le relative schede di tutti i film incluse: Cinepanettone e Stanlio e Ollio: i corti (con tutte le 74 schede dei singoli film)».
Molti appassionati pensano che l’idea di un dizionario dei film sia oggi una cosa superata visto che il web ormai pullula di siti di critica cinematografica. Noi non siamo assolutamente d’accordo, considerando anche il livello medio delle “critiche” pubblicate su internet, e riteniamo il suo dizionario uno strumento fondamentale per ogni vero appassionato di cinema. Che opinione ha della critica sul web? Inoltre, magari insieme alla Baldini+Castoldi, avete pensato a qualche novità editoriale per cercare di avvicinare i giovani cinefili al dizionario?
«La critica sul web è come quella sulla carta: buona o cattiva a secondo di chi la scrive. Non ho particolari pregiudizi verso la critica sul web, anche se spesso mi capita di imbattermi in inutili sproloqui solipsistici. Altre volte leggo cose straordinarie. Alcuni dei migliori critici che conosca, come l’americano Jonathan Rosenbaum o i francesi Jean-Michel Frodon e Bertrand Tavernier (sì, il regista che viene dalla critica e che la critica non ha mai dimenticato) scrivono solo sul web e lì vado a cercarli. Anche se per vecchia abitudine mentale mi trovo più a mio agio con davanti la pagina stampata che con quella online».
Qual è stata la scheda più difficile da scrivere o che ha avuto una genesi travagliata in questa nuova edizione?
«Ho fatto sicuramente molta fatica a scrivere la voce Cinepanettone perché i lavori precedenti sull’argomento, con quasi nessuna eccezione, erano tutti squilibrati tra l’adorazione incondizionata o il disprezzo. Non è stato facile mettere a punto una riflessione critica sul tema, che ha presupposto anche il quasi totale rifacimento delle singole schede dei vari cinepanettoni».
Pensiamo che uno dei capolavori degli ultimi due anni sia “Il filo nascosto” di Paul Thomas Anderson. Ci può anticipare in anteprima la scheda critica?
«Eccola qua:
Filo nascosto, Il **** (Phantom Thread, Usa 2017, col, 130’) Paul Thomas Anderson. Con Daniel Day-Lewis, Vicky Krieps, Lesley Manville, Camilla Rutherford, Gina McKee, Steven F. Thompson, George Glasgow, Brian Gleeson, Harriet Samson Harris, Emma Clandon, Julia Davis. ♦ Londra, anni Cinquanta. Il sarto Reynolds Woodcock (Day-Lewis) gestisce con la sorella Cyril (Manville) una casa di alta moda: scapolo impenitente e irascibile, rimane colpito da Alma (Krieps), una ragazza straniera che lavora come cameriera e che lo affascina a tal punto da diventare la sua musa e modella prediletta. Così lei si trasferisce a vivere nella sua casa-atelier, ma a differenza delle precedenti fidanzate di Reynolds, Alma non subisce passivamente le attenzioni e le sfuriate dell’uomo, ma rivendica un ruolo nella sua vita (anche agli occhi della possessiva Cyrill) per affermare la propria indipendenza. Come ci riuscirà? Anderson, anche sceneggiatore e (non accreditato) direttore della fotografia, racconta una storia d’amore e di dipendenza reciproca che prosegue le riflessioni di The Master sui legami d’attrazione e repulsione fra gli individui e che qui si concentra sui legami uomo-donna. Il gioco di potere quasi masochistico che coinvolge Reynolds e Alma è espressione di una passione «inspiegabile», emotivamente coinvolgente ma mai sentimentale, un’attrazione fisica che diventa tormento professionale, dove però le ossessioni della mente (a cominciare dal fantasma della madre [Clandon] di Reynolds) sono poi rimesse in discussione dai bisogni concreti (le schermaglie sui fritti e le «vendette» culinarie di Alma). Attento in maniera spasmodica ai particolari dell’ambiente che racconta, dal lavoro delle sarte agli accessori dei vestiti agli interni delle case del quartiere di Fitzrovia dove il film è stato interamente girato (salvo i pochi momenti nella campagna del North Yorkshire), Anderson, che usa ancora una volta la pellicola, non si ferma alla superficie delle cose e alla loro apparenza ma rivendica alla bellezza delle creazioni sartoriali un significato che trascende l’eleganza per diventare valore assoluto. Così chi osa involgarire le sue creazioni, come la cliente texana (Harris) viene punita (e privata del vestito) e quando il gusto comune cambia, il suo disprezzo è ancora più radicale: se la contessa Harding [McKee] cerca abiti «più chic,» non è lui che deve adeguarsi, sono gli altri che devono pentirsi. Come il personaggio è nato dall’incrocio di più suggestioni – Cristobal Balenciaga ma anche gli stilisti della casa reale Hardy Amies e Normsan Hartnell, e i meno conosciuti John Cavanagh e Digby Morton – così sono molti i possibili riferimenti cinematografici, da Hitchcock e le sue donne possedute e rimodellate (Rebecca, la prima moglie e La donna che visse due volte) a Falbalas di Jacques Becker, dal Bergman di Passione al Lean di Sogno d’amanti, chissà quanto volutamente rifatto nella splendida scena del capodanno fra la folla. Ma una messa in scena così matura e sorprendente supera ogni possibile citazionismo per dare al film il fascino di una creazione unica e irripetibile. Determinanti per questa straordinaria riuscita le musiche sinfoniche di Jonny Greenwood, i costumi di Mark Bridges e le interpretazioni di tutto il cast, a cominciare da Daniel Day-Lewis che ha annunciato di volersi ritirare dalle scene dopo questo film. Sei nomination, un solo Oscar (ai costumi) ma risultati al botteghino superiori alle aspettative, specie in Italia».
Il genere documentario è letteralmente esploso negli ultimi anni. Come cambia l’approccio critico di fronte ad una recensione dedicata ad un film di questo genere? Quali sono i parametri e i valori da considerare rispetto ad un film di finzione?
«Penso che la riflessione sul cinema documentario, o più in generale sul cinema di «non fiction» sia ancora in fieri. Difficile stabilire criteri o regole precise. Sicuramente cerco, nelle varie schede, di commisurare le ambizioni coi risultati, l’originalità del tema affrontato e la scelta del linguaggio più appropriato ed efficace. E cerco soprattutto di aprire le pagine del dizionario alle ricerche più innovative nel campo, come quelle di Savona, Rosi, Carpignano, Lech Kowalski o Ross McElwee».
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data: 19/11/2018