L’autorialista ad intermittenza della critica italiana
Intervista esclusiva a Filippo Mazzarella
Nato a Milano il 12/04/1967, collaboratore del Dizionario dei Film di Paolo Mereghetti, cura inoltre la rubrica settimanale sul supplemento ViviMilano del Corriere della Sera, la rubrica SegnoHomeVideo sul bimestrale SegnoCinema e recensioni di colonne sonore e fumetti sul dorso milanese del Corriere della Sera. Da qualche mese collabora anche al mensile Ciak con la rubrica Japanime, a Linus (quattro pagine di varia cinefilia) e alla rivista da libreria Brancaleone.
Ci puoi raccontare com’è stato il tuo percorso professionale fino ad oggi?
Ho cominciato alla radio a 18 anni. A scrivere poco prima dei 20. Ne faccio 40 ad aprile. Non ho mai fatto nulla di importante finché non ho incontrato quattro persone alle quali, in ordine rigorosamente cronologico, devo in qualche modo tutto. Una reazione a catena: Riccardo Bevilacqua, con cui ho fondato una “rivistina” durata poco che si intitolava “Effetto Notte”, mi ha presentato Gigi Sanvito della Hobby & Work che mi ha fatto debuttare sull’edizione italiana di “SFX” grazie alla quale ho conosciuto Alberto Pezzotta (di cui sono diventato prima amico che collaboratore) che mi ha segnalato a Paolo Mereghetti nel 1999 quando un ruolo di recensore sulle pagine di ViviMilano (che tuttora condividiamo) è diventato vacante. Poi è venuto il resto. Dal punto di vista della “gavetta”, ammetto di avere avuto molta fortuna e di aver debuttato in una posizione di riguardo rispetto ad altri colleghi. La credibilità spero di averla conquistata sul campo. Per merito.
Quando hai deciso di diventare critico cinematografico?
Non l’ho deciso. E’ successo. Ad un certo punto mi sono reso conto che sarebbe stato bello mettere a frutto gli oggetti delle mie passioni anche in campo professionale e che non sarei diventato astronauta come desideravo da piccolo… quindi… Vado al cinema con regolarità dal 1972: a cinque anni leggevo i flani sui quotidiani e obbligavo i miei genitori a portarmici almeno una volta alla settimana. Sono un compulsivo: da sempre leggo libri e fumetti, ascolto musica e vedo film in modo maniacale e totalizzante. Quando ho cominciato a muovermi da solo, il 99% delle volte che uscivo di casa andavo al cinema. Dal 1980 fino ai primi anni ’90, complice il fatto che nella maggior parte dei cinema del centro di Milano non pagavo il biglietto per motivi lunghi da spiegare, vedevo TUTTO quello che usciva in sala, frequentavo TUTTI i cinema d’essai e quando tornavo a casa mi attaccavo alla TV vedendo film in VHS e sulle prime reti private. Tutte attività, beninteso, che non mi hanno impedito di fare altre cose normalissime, come avere delle fidanzate, divertirmi con gli amici, fare sport. Ho sempre dormito molto poco, per fortuna!
Sei un profondo conoscitore del cinema d’animazione; secondo te che importanza ha questo “genere” nella storia del cinema?
Sono un buon conoscitore del cinema d’animazione, gli esperti veri sono altri e per rispetto a loro rifiuto cordialmente la qualifica. Io ho solo una grande passione per questa declinazione del filmare, che del cinema mi pare essere un elemento assolutamente centrale e fondante. L’animazione esiste fin dal pre-cinema, dalle lanterne magiche, e ne attraversa la storia intera a livello tecnologico e mitopoietico Insieme al genere fantastico, è il più antico modo di fare cinema che esista al mondo. Probabilmente è anche il più interessante, ma lì subentra la soggettività del gusto personale. Conosco colleghi ai quali al solo sentir parlare di cartoni animati viene la pellagra. Io e Mereghetti invece non ce ne perdiamo uno, e a casa coi nostri figli li rivediamo pure.
Quali sono i tuoi nomi di riferimento, del passato ed odierni, sempre per quanto riguarda l’animazione?
Sarò banale: Disney. Il mondo senza Disney è un “What If…?” che mi atterrisce e che non voglio nemmeno prendere in considerazione. Ma non mi piacciono le classifiche: ogni artista che si sia dedicato alla causa ha portato qualcosa a questo meraviglioso universo. La differenza tra il cinema “reale” (per quanto mi renda conto che la definizione è un ossimoro) e il cinema animato è l’interrelazione che si crea a livello d’ispirazione, magari lontana e inconscia, fra i lavori più disparati. Ovvero: sono sicuro che Ingmar Bergman non abbia mai visto un film di Neri Parenti. Ma non credo che Katsuhiro Otomo non conosca Bruno Bozzetto. La mia più grande passione, al momento, è Norman McLaren, che ho riscoperto dopo anni di “smemoratezza”.
Tutte le grandi major producono all’anno almeno un paio di titoli, soprattutto di animazione digitale. Pensi che questa tendenza durerà ancora per molto tempo?
Finché gli incassi saranno quelli che possiamo vedere, sì. L’arte, oggi, è sempre e innanzitutto una questione di mercato, oltreché di principio: nel senso in cui lo intendeva Jannacci quando diceva che “Quando si dice che è per principio, è sempre per i soldi.” Il cartoon digitale è lucrativo sotto ogni aspetto, non ultimo quello legato al merchandising. Ci sono dei videogame che introitano cifre pari agli incassi dei film a cui s’ispirano. Finché il filone continua a dare oro, perché smettere? La qualità è un fattore secondario: e infatti molti dei cartoon digitali recenti fanno schifo.
Quali sono i pregi e i difetti dell’animazione digitale?
L’animazione digitale è un mezzo di espressione nuovo, con un’estetica inedita, che va sondato ancora a lungo. E’ rapidamente diventato il più diffuso perché i tempi di lavorazione rispetto, che so, a “Toy Story” o “Dinosauri” si sono accorciati esponenzialmente e perché, sull’onda della novità grafica e delle possibilità registiche offerte dal mezzo, il pubblico del nuovo millennio lo riconosce ormai come tassello insostituibile del nuovo immaginario collettivo. Ma io credo che la nuova tecnologia, perlomeno in ambito mainstream (non voglio parlare di quel 3D cheap che imperversa nelle produzioni TV minori e negli straight-to-video, semplicemente inguardabile e aberrante), abbia anche dato più motivazioni agli autori. Alla base di tutto c’è sempre la capacità di creare personaggi e storie memorabili, la maggioranza delle neo-icone pop dell’animazione (almeno in occidente) vengono dai cartoon digitali. Tutte hanno alle spalle un soggetto e una storia forte. Shrek, pur non piacendomi, è un buon esempio: il pinguino Mumble, per dire, non diventerà un’icona come lui, perché il personaggio sarebbe anche azzeccato, ma la sceneggiatura di “Happy Feet” è penosa.
Una tua breve opinione su alcuni importanti titoli di questi ultimi tempi: “L’era glaciale 2”, “Wallace & Gromit”, “Cars”, “Paprika”, “Azur & Asmar” e “Giù per il tubo”.
Il soggetto di “L’era glaciale 2”, a differenza del primo che era a suo modo originale, mi è parso orribile ed eco-fasullo, e il film diseguale, episodico e gratuito. E funziona al contrario: infatti, si gode sostanzialmente della somma di siparietti di Scrat (geniale il finale con la ghianda-Dio) e non della storia vera (che poi è il “Dinosauri” Disney mixato alla “Valle Incantata” di Don Bluth) di cui t’importa poco o niente. Di “Wallace & Gromit”, molto sinceramente, preferisco i mediometraggi: non mi è sembrato che il “Coniglio Mannaro” avesse “il” soggetto in grado di fare il salto nel lungo, e difatti la seconda parte è faticosa, anche se tecnicamente è magnifico. “Cars” è un capolavoro del cinema tout court, non solo del cinema d’animazione. Punto. Amo “Azur & Asmar” alla follia, ma con Ocelot ho un rapporto controverso: sul piano teorico, l’ho sempre considerato un autore geniale; a una verifica di visione, i suoi film mi hanno sempre annoiato. Qui, per la prima volta, almeno per me, si è realizzato il miracolo di un’armonia politico/tematico/estetica. “Giù per il tubo” invece è tutto quello che avrei voluto dal lungo di “Wallace & Gromit”, ma senza plastilina. Il che da un lato mi spiace (anche se per fare “Flushed Away” a passo uno non sarebbero bastati 20 anni di lavorazione!) e dall’altro dimostra che a contare non è il “come” ma il cosa: l’estetica e l’etica Aardman sopravvivono indipendentemente dal mezzo scelto per porle in essere. Anzi, “Flushed Away” mi sembra proprio, fra le altre cose, la riflessione più struggente sul crepuscolo dell’artigianalità del cinema che si sia vista di recente. Purtroppo non posso dire nulla di “Paprika”: sono un fan di Satoshi Kon dai tempi in cui “Perfect Blue” in Italia lo conoscevamo in sette. Ma non ero a Venezia, non ho mai scaricato un film in vita mia e quindi non l’ho ancora visto.
Solo da pochi anni in Italia viene valorizzato il cinema d’animazione giapponese e questo grazie a film come “Una tomba per le lucciole”, “La città incantata”, “Metropolis”; quali sono i tuoi personali “tesori d’Oriente”, i titoli d’animazione del Sol Levante che consigli di vedere assolutamente?
La colpa del gap è dell’ignoranza dei distributori cinematografici e dei programmatori della RAI, delle TV locali e della Fininvest prima e di Mediaset poi. Se tra il 1980 e i primi ‘90 nei cinema fossero usciti “Totoro” e “Omohide poro poro”, o se le TV avessero acquistato e trasmesso anche qualche lungometraggio “anime” di grande successo in Giappone anziché tutta la possibile fuffa purché a episodi, l’interesse per il cinema d’animazione giapponese non sarebbe a livello infimo, rispetto ad altri paesi del mondo, a cui è ora in Italia (malgrado esista un florido mercato di nicchia). Un capolavoro come “Una tomba per le lucciole” di Isao Takahata è del 1988!!! E in Italia si è visto con un ritardo cosmico! “Totoro” di Miyazaki (votato dalla critica giapponese fra i migliori film di tutti i tempi, insieme con Kurosawa, Kubrick, Fellini, Ozu eccetera), appunto, anche lui è dell’88, ed è ancora un oggetto sconosciuto ai più. Come in ogni paese del mondo, anche in Giappone esistono “anime” meravigliosi e autentiche porcherie, malgrado i fan sfegatati e talebani spesso non siano disposti ad ammetterlo. Se parliamo di gusti personali, ci sono decine di titoli del passato – molti purtroppo introvabili da noi, come “Cyborg 009”- che amo alla follia. Fra le cose relativamente più recenti, Miyazaki va visto e studiato tutto, nessun titolo escluso; “Interstella 5555” (Matsumoto + Daft Punk) è un capolavoro. Miyazaki a parte, credo che il più grande autore oggi sia appunto Satoshi Kon: il thriller “Perfect Blue” si può vedere 20 volte senza esaurirne il fascino; il purtoppo ancora inedito “Millennium Actress” contiene un paio delle sequenze più struggenti della storia; “Tokyo Godfathers”, da noi distribuito coi piedi e con un doppiaggio irrispettoso del suo valore, è un grande film finto-ottimista. Spero che “Paprika” sia all’altezza di queste premesse.
Parlaci di cicli importanti come la serie cinematografica dedicata alla Corazzata Yamato ed al film dedicato a Capitan Harlock, L’arcadia della mia giovinezza.
Uuuuh! E come si fa? Dovreste darmi una pagina web tutta mia! Da matsumotiano osservante, ovviamente porto nel cuore la corazzata spaziale Yamato e Harlock perché condivido emotivamente ogni sfumatura del “sentire” filosofico e sentimentale dell’autore.
I film della Yamato sono cinque, imperdibili i primi due e ottimi gli altri. Mi autocito: “Gli eroi romantici della Yamato (nome e design sono un omaggio alla nave giapponese abbattuta in guerra nel ‘45) fanno parte del DNA degli appassionati e le loro avventure epico/ecologiche continuano a incantare nuove generazioni e neofiti. Merito della sensibilità unica del loro autore, Leiji Matsumoto, genio che al pari di pochissimi altri ha saputo infondere alla sua opera non solo immediate e inconfondibili connotazioni visive, ma anche una magistrale continuity interna. Nell’ anno 2199, quando i terrestri si rifugiano nelle viscere di una Terra trasformata in deserto radioattivo dagli alieni di Gamilas, ecco la “quête” spaziale alla ricerca di un quasi-Graal in grado di ripulire il pianeta: una space-opera struggente per la saga TV (78 episodi) rielaborata in lungometraggio (seguono, autonomi, Addio Yamato, Yamato il nuovo viaggio, Yamato per sempre e Yamato l’ultima battaglia: anche riuniti in box), ricca di spunti ancor attuali e interrogativi filosofici costanti nell’ispirazione matsumotiana (vedi Capitan Harlock). Un idealismo candido e una tendenza alla riflessione sul senso ultimo dell’esistenza che non si possono non condividere o non amare”. Idem per Harlock, il cui “L’Arcadia della mia giovinezza” è un prequel godibile di suo:
“(i suoi personaggi sono) Viaggiatori illuminati a cui viene offerta la possibilità di tagliare i ponti col mondo e partire per uno spazio sconfinato che altro non è che la metafora pantografata del nostro microcosmo interiore. Matsumoto/Harlock è la ricerca di sé, la melancolia libera di crogiolarsi in sè stessa per trovare una spinta propulsivo-propositiva, la speranza di un riscatto sempre possibile.”
Parliamo dell’unica parentesi italiana del cinema animato, Bruno Bozzetto. Che cosa pensi dei suoi film, del suo stile e della sua storia?
Scusa se puntualizzo, ma Bozzetto non è affatto l’unica parentesi italiana del cinema animato: ci sono stati i Pagot, De Mas e molti altri che spero non si offendano non vedendosi citati. L’animazione italiana non è purtroppo affare di lungometraggi, è vero, ed è in questo senso che Bozzetto stablisce l’eccezione. Ma la nostra industria è (stata) grande, e va detto. Bozzetto è stato il più “visibile”, per certi versi. Che sia anche il più bravo è puramente accidentale. Che dire? E’ un genio. Assoluto. Un po’ lo sa e un po’ fa il modesto, ma genio rimane. Tutto quello che fa mi piace. “West and Soda”, il suo primo lungometraggio, è senza dubbio fra i vertici del cartoon di tutti i tempi. La sua storia è molto complessa, e la totale compenetrazione della sua arte nei livelli più vari della comunicazione (TV, Caroselli, pubblicità, fumetti, videoclip, cinema) è la dimostrazione che, da bravo “voyant”, Bozzetto aveva intuito con quarant’anni di anticipo quella che oggi si chiama “multimedialità”. Credo sia ancora molto sottovalutato, ma d’altronde in Italia non esiste una cultura dell’animazione. E anche ai miei colleghi più titolati e “visibili” (non quelli a cui viene la pellagra: altri) dedicano poca energia a promuoverla. Oddìo, è anche vero che emergono sempre le cose sbagliate: negli ultimi anni, al cinema, il vessillo dell’animazione italiana è stato tenuto alto (si fa per dire) da “Opopomoz” (un inspiegabile, ma totale, fallimento di D’Alò), dall’insopportabile “Totò Sapore e la magica storia della pizza”, da “Padre Pio” (no comment) e dai due “Felix” di Laganà, che comunque appartengono più alla cultura tedesca che alla nostra. Un po’ pochino, in effetti.
Parlando d’animazione del passato, in dvd sono usciti da poco alcuni film – diversissimi tra loro – come I maestri del tempo di Renè Laloux, due film collage dedicati ai personaggi mitici della Warner Bros (Le 1001 favole di Bugs Bunny e Super Bunny in orbita!), e la “bilogia” di Ghost in the Shell di Mamoru Oshii. Cosa ne pensi?
Penso che sia un segnale: per il dizionario Mereghetti, vedo il 99% degli straight-to-video d’animazione che escono sul mercato italiano. E la maggior parte fa pena. Ma esiste un mercato, questo è fuori di dubbio. Non può non esistere, se è in grado di assorbire 4 mefitici cartoon digitali di Barbie all’anno! La Disney e le major sono il 98% di questo mercato, e gli altri si spartiscono le briciole. Ma c’è troppa produzione contemporanea usa e getta (non fanno eccezione certi sequel Disney girati direttamente per l’homevideo o i tie-in di giocattolame vario come “Action Man” o, appunto, Barbie) e troppo poca ricerca filologica: dov’è “Putiferio va alla guerra”? Dove sono i film di Osamu Tezuka? Perché i Laloux ci hanno messo anni a uscire? Perché nessuno edita i film di Bill Plympton? Perché la Disney continua con questa politica economica mostruosa per cui “Biancaneve e i Sette Nani” resta disponibile sei mesi e poi sparisce dai cataloghi per ritornare chissà quando in una nuova edizione arricchita che comporterà ciclici esborsi?
Per quanto riguarda un giudizio sui titoli citati amo molto Laloux ma il film mi sembra debolino: secondo legenda Dizionario Mereghetti gli darei massimo **1/2; le 1001 favole di Bugs Bunny non l’ho visto, non so che corti contiene; Super Bunny lo vidi al cinema, ricordo, ma vale lo stesso discorso… preferirei delle ristampe ragionate piuttosto che le riedizioni dei film-collage tipo Silvestro gatto maldestro. Ghost in the shell: beh, il primo *** e il secondo… pure! Diversi, ma bellissimi entrambi. Anzi, vi dirò che quasi preferisco il secondo.
Sembra che il mercato dell’home-video stia puntando molto sul cinema di animazione. E’ proprio così oppure manca ancora qualcosa di importante?
E’ così, ma certi distributori non capiscono che la produzione per piccolissimi che acquisiscono e promuovono è troppa, mentre invece quella “per adulti” è troppo poca. Perfino i distributori di “anime”, che pure pubblicano quantità impressionanti di materiale, a volte ragionano secondo logiche, diciamo così, “bizzarre”. Ma immagino necessarie a far quadrare i bilanci. In ogni caso, manca molto di ciò che non è mainstream, soprattutto tasselli di storia che sarebbe troppo lungo elencare e che in una logica di nicchia funzionerebbero eccome. Ma non voglio essere distruttivo: qualcosa si sta muovendo, eccome.
Chiudiamo la parentesi del cinema di animazione con una curiosità; “Akira” di Otomo ha sempre diviso pubblico e critica… tu da che parte stai?
Ho amato e riletto alla follia il manga. E mentre lo leggevo e rileggevo mi sono sempre chiesto come avrebbe potuto starci tutta quella roba in un film lungo meno di 19 ore. Quando l’ho visto ho capito: non ci stava. Ma lo trovo ipnotico. Per me, “Akira” film sta ad “Akira” manga come “Dune” di Lynch stava a Herbert. Per inciso, credo che “Dune” di Lynch sia un capolavoro immenso mancato di 8 milioni di km. Ecco, più o meno.
Torniamo a parlare di critica. Quand’è utile al cinema… e quando invece non lo è?
La critica non è MAI utile al cinema, per fortuna. Se così fosse, ci sarebbero solo bei film e saremmo tutti disoccupati. Dovrebbe essere utile agli spettatori, e per molto tempo ha svolto questa funzione egregiamente. Oggi, chissà. Comunque la critica non ha mai migliorato il cinema: forse un certo cinema ha migliorato la critica, e più spesso la vita. Ma è un discorso lungo. E certo, quando vedi 500 film all’anno, diventa più difficile sostenere quest’ultima tesi.
Oltre all’animazione, parlaci della tua idea di cinema, dei tuoi gusti, delle tue preferenze.
Non ce l’ho un’idea di cinema. Quella dovrebbero avercela quelli che lo fanno, e se mica sempre ce l’hanno loro perché dovrei averla io? Mi piace il cinema proprio come idea, però, in modo totalizzante, così come amo la musica: certo, poi ho 4.000 dischi rock e solo 7 di reggae e da spettatore, se posso, non vado a vedere i film sentimentali in costume. Ma da critico, non ho pregiudizi. O meglio, ne ho sempre: ma sono capace di sbarazzarmene con facilità. Sono un autorialista a intermittenza; entro a vedere “King Kong” di Peter Jackson con la faccia di quello che “Il Signore degli Anelli” gli è piaciuto come un colpo di vanga sul setto nasale ed esco tre ore dopo con le lacrime agli occhi; vado esaltato a vedere il primo “Spider-Man” di Raimi e torno a casa che vorrei strozzare il portinaio. Mi piace il cinema che non offende la mia intelligenza, quello che – se pagassi – non mi farebbe incazzare per aver buttato il mio denaro e il mio tempo. Da sceneggiatore mancato (finora), mi piace il cinema che vorrei essere capace di fare. E avrei voluto saper fare tanto “L’ultimo bacio” quanto “Arca Russa” di Sokurov o “Rocky Balboa”. Immagino che una risposta del genere non sia molto soddisfacente: quindi vi elenco qualche autore senza cui non potrei vivere (è più facile e connotativo che dire “I film della mia vita sono:”) e qualcuno senza cui avrei vissuto meglio. Anche qui, banalità a gogo fra i più amati: Buster Keaton, Godard, Fellini, Kubrick, Chaplin, Billy Wilder. Dei “moderni”, Lynch sopra tutti. Poi Cronenberg, Carpenter, Herzog, Edgar Reitz, Sokurov, Angelopoulos, Tim Burton. Tarantino non mi ha cambiato la vita, Lars von Trier mi fa incazzare. E purtroppo questi ultimi due sono gli unici “autori” al 100% espressi dal cinema negli ultimi anni. Che tristezza…
Come vedi il futuro del cinema?
Vedo sempre meno fruizione di massa nelle sale, e sempre più chiusura monadica davanti a schermi o schermini, non necessariamente televisivi. Vedo “Star Wars 7” nel 2020 in pay-per-view digitale planetaria contemporanea dopo una campagna di marketing invasiva: un miliardo di utenti che “bruciano” un film facendo realizzare ai produttori 10 miliardi di dollari d’incasso in 24 ore senza stampare una copia, nemmeno digitale. Vedo un iPod video da 4 Terabyte collegato in wi-fi con cui scambiare film col primo che passa e godere del cinema indossando un paio d’occhiali che proiettano l’immagine direttamente sulla retina. Vedo me, povero vecchio, cercare una sala dove ancora avere la possibilità di addormentarmi su una poltroncina quando ho mangiato pesante o mi tocca l’ennesimo Pupi Avati.
E il cinema italiano come lo vedi?
Il cinema italiano non esiste e non resiste. Esistono però obbrobri vergognosi come la legge Mammì, che nessun governo – di destra o di sinistra – ha mai sognato di mettere in discussione e che limita anche quel poco di creatività e libertà rimasta a quelle 4/5 persone che pensano ancora che qui si possa fare cinema; esiste una grande cloaca massima, che è la televisione, che ha due bacini adiacenti e intercambiabili (RAI e Mediaset) in cui deve comunque finire tutta la merda prodotta, che finisce col non avere più alcuna connotazione e quasi per non puzzare neanche più; esistono dati d’ascolto attendibili che dimostrano come le fiction siano il “nuovo cinema italiano” gradito al pubblico e che del cosiddetto “cinema-cinema” in TV (perlomeno quella generalista) non importa più nulla a nessuno. Esistono casi di “affluenza coatta”, come i cinepanettoni, che sono come la Democrazia Cristiana nell’Italia degli anni ’70: ufficialmente nessuno li “vota”, ma quando si aprono le urne… Che un film come “Vacanze a New York” incassi 25 milioni fa già paura, ma che “Olé” di Vanzina con Boldi ne abbia fatti 5 anziché mezzo è un dato che deve far riflettere come e più dell’effetto serra e dello scioglimento della calotta polare. E’ un cataclisma.
Parlaci di qualche recente film, magari passato inosservato, che merita un’attenta visione.
Ce ne sono sempre molti, perché la logica dei multiplex fa sì che per 500 copie in circolazione di “Anplagghed” ci siano dei film che escono in tre città in croce. Nell’ultima stagione, il capolavoro “Grizzly Man” di Herzog; ma anche, più di nicchia, “Ghost in the Shell 2” e “Kyashan”, usciti male in poche copie e in piena estate; “Neil Young – Heart Of Gold” di Jonathan Demme, che è molto più di un “documentario musicale”. Ma anche il bellissimo “The Prestige” di Christopher Nolan, da cui ci si attendeva un esito diverso. Tra i film che ho visto di recente ai festival e che nessuno ha comprato, “The Host” del coreano Boon Jong-ho mi è sembrato straordinario. Purtroppo mi hanno anche riferito delle reazioni schifate del distributore che avrebbe voluto acquistarlo… Che alla base della circolazione di tante schifezze ci sia anche una questione d’incompetenza? Non conosco nessun critico, a parte Vieri Razzini che però ha una sua personale e coraggiosa casa di distribuzione, di cui un distributore si avvalga come consulente o addirittura buyer.
La tua personale dvd-teca… cosa compri, cosa collezioni?
Ho solo un migliaio di dvd (ma circa 5000 videocassette registrate o comprate prima dell’avvento del digitale), a fronte degli ormai 7.000 dischi e 20.000 fumetti che mi ritrovo stipati in casa. Colleziono i film tratti dai fumetti, i film-concerto rock e parecchi cartoon, ovviamente. Ma compro di tutto: dai classici alle comiche mute, il cinema asiatico, Kenneth Anger, i film di Renzo Montagnani, l’horror in ogni sua forma, le serie TV di quand’ero bambino, le cose che oggi piacciono a mio figlio. Molti film me li mandano direttamente le case distributrici, ovviamente, per cui sui miei scaffali ci sono anche cose (non faccio nomi) che non toccherei neanche coi guanti. Vorrei che la Rai editasse finalmente in dvd TUTTI gli episodi della biblioteca di Studio Uno, le parodie della letteratura interpretate e cantate dal Quartetto Cetra con i migliori artisti del teatro e del varietà italiano degli anni 50 e 60.
Tre dvd da consigliare ai lettori della nostra webzine.
Uno è il più grande anime che abbia visto di recente: “KakuRenBo” (Dynit), che dura solo 25 minuti, ma… non aggiungo altro. Poi, senz’altro “Superman II – The Richard Donner’s Cut” (Warner), che finalmente rende giustizia al sequel di Superman montando tutto il materiale girato da Donner e sostituito da Lester o rimasto congelato per divergenze produttive per tutti questi anni. Oltre a essere illuminante per ciò che concerne quella che consideriamo (a volte erroneamente) la paternità del cinema, è anche un gran bel film che rimette in prospettiva e completa – finalmente – il primo capitolo. E poi perché è il primo comics-kolossal, e un pizzico di filologia non guasta mai. Per ultimo, beh, mi sono letteralmente perso nella serie “The Work of Director”, che assembla i lavori dei migliori videomaker: da Michel Gondry (un genio) a Spike Jonze, Chris Cunningham, eccetera. Tra gli ultimi, è molto bello quello di Stéphane Sednaoui.
Un titolo che aspetti ma che non è presente sul mercato italiano.
Oltre a “Tonari no Totoro” di Miyazaki, che però non vale perché l’ho già citato, c’è una lista di buchi lunga come un’autostrada, in ogni genere e in ogni epoca. Dico solo un nome: Jean-Luc Godard. Ovvero il dio del cinema. Confrontate la sua filmografia con i titoli reperibili da noi. Vergogna.
Cosa non ti piace del mercato del dvd in Italia.
Non vorrei essere querelato. Ma, innanzitutto, dirò: i prezzi. Poi: la mancanza quasi totale di cura dei booklet da parte delle major. Non si può comprare un dvd di, che so, Hitchcock, senza uno straccio di nota che sia uno. E il caos invasivo delle etichette minori che immettono centinaia di inediti senza senso in un mercato che sarebbe già saturo solo con le uscite ufficiali.
Progetti futuri?
Un’infinità. C’è un libro su cinema e fumetti, che rimando da sempre, ma che mi piacerebbe prima o poi trovare il tempo per scrivere. Recentemente ho recitato in un cortometraggio che ha fatto qualche festival: me ne hanno proposto un altro, passerò volentieri qualche altra ora davanti alla macchina da presa. E non è ancora detto che prima o poi non giri qualcosa di mio. Magari animato. Giornalisticamente, non sono capace di dire di no: quindi continuo ad accettare collaborazioni col risultato che poi non mi resta il tempo neanche per respirare. Come organizzatore, sto lavorando alla IV edizione di “Anime Giapponesi”, la rassegna milanese di animazione nipponica che ho creato con Saverio Lombardo e che quest’anno deve cambiare un po’ pelle (e magari trovare anche uno sponsor, visto che è dal 2004 che la pago io!). E sto aspettando la conferma per una cosa simpatica da realizzare a Sanremo.
Il mio più grande desiderio, però, sarebbe una rubrica radiofonica notturna per disquisire di cinema in diretta con il pubblico. Anche per tornare un po’ alle mie origini. Ma ogni volta che ne parlo a qualcuno l’esplosione d’indifferenza è totale. Sembra che a nessuno, in radio, fatta meritoria eccezione per Popolare Network, importi nulla di parlare di cinema e audiovisivi. Ma non demordo.
Grazie, è stato un piacere ospitarti sulle pagine web di DVD italy!
Grazie a voi!!!
data: 18/01/2007