Powell & Pressburger
Opere d’Arte in Technicolor
Michael Powell inglese ed Emeric Pressburger ungherese emigrato a causa di Hitler; il primo regista visionario e il secondo scrittore capace di realizzare, in sceneggiatura, le esigenze fantastiche del primo. Il loro sodalizio ha costituito una sorta di eccezione all’interno del panorama del cinema inglese del secondo dopoguerra, poiché cercavano con le loro opere di creare delle forme di intrattenimento popolare ma con un costante rinvio a tematiche “alte” che andavano dal Mito all’Arte; il cinema doveva essere il punto d’incontro fra arti e linguaggi diversi, come la danza, la musica e la pittura.
Il rapporto tra Michael Powell ed Emeric Pressburger è stato molto complesso anche se le mansioni preminenti restarono, rispettivamente, quelle della regia e della sceneggiatura. Nel 1943, dopo aver debuttato l’anno precedente con Volo senza ritorno (One of Our Aircrafts Is Missing), realizzano Duello a Berlino (The Life and Death of Colonel Blimp) il pimo film realizzato in coppia con la loro società The Archers, il primo girato in Technicolor e soprattutto il primo con la dicitura (eccezionale per quell’epoca) “Scritto, prodotto e diretto da Powell e Pressburger” che sarà mantenuta nei successivi dieci film, con cui affermano esplicitamente la centralità del lavoro dello sceneggiatore, annullando così le barriere del lavoro creativo. Ricorda Powell: “Decidemmo un ordine dei titoli di testa secondo quella che era per noi l’importanza: scrittore, produttore e poi regista. Non erano in molti a pensarla così. Personalmente, mi aveva sempre irritato la maniera in cui sono trattati nel cinema gli scrittori. Ma la nostra decisione nacque spontaneamente e quasi tacitamente.”.
Duello a Berlino è la storia dell’amicizia tra un ufficiale inglese e un ufficiale tedesco che dura per anni, passando indenne tra le guerre e l’amore per la stessa donna. Dato l’argomento (un’amicizia anglo-tedesca in tempo di guerra) il film fu boicottato dalle autorità e da Winston Churchill in persona, tanto da ritardarne la distribuzione negli USA dove uscì nel 1945, decurtato di 40 minuti. Seguirono altri titoli: il bellissimo ma meno conosciuto So dove vado (I Know Where I’m Going, 1945) poi Scala al paradiso (A matter of Life and Death, 1946), in cui un pilota inglese, nel vivo del secondo conflitto mondiale, si getta senza paracadute dal proprio aereo in fiamme. Salvato grazie all’errore dell’angelo che doveva condurlo in Paradiso, si innamora di una giovane americana, ma deve difendere il proprio diritto ad “essere vivo” di fronte ad un tribunale celeste.
Un semplice film-commedia di propaganda sui rapporti anglo-americani che diviene una delle storie d’amore più folli del cinema. Nel 1948 confermarono il loro estro creativo con il musical Scarpette rosse (Red Shoes, 1948), il più grande successo di pubblico del duo, ispirato alla favola di Hans Christian Andersen. Considerato il miglior ballet film della storia del cinema, ma anche la più esemplare espressione del melodramma cinematografico definito infatti anche da Paolo Mereghetti come “ Un melodramma perfetto, ma non convenzionale…”, amato dal pubblico ma anche da celebri registi come Scorsese, Coppola e De Palma. Il film venne presentato in concorso alla 13ª Mostra del cinema di Venezia e ricevette cinque nomination ai Premi Oscar 1949, compresa quella per il miglior film, vincendo i premi per la miglior scenografia (colore) e la migliore colonna sonora. Negli anni a seguire realizzarono Narciso nero (Black Narcissus, 1948) interamente girato in studio: è la storia di cinque suore inglesi in missione nell’Himalaya tra mille difficoltà, che ricevette l’Oscar alle scenografie e alla fotografia tale era la bellezza visiva ricreata nel film. I registi infatti riuscirono a ricreare un vivido paesaggio himalayano pur girando tutto il film in teatro di posa, con colori accesi che contrastavano con il bianco austero degli abiti delle suore.
Tre anni dopo, nel 1951 fu la volta de I racconti di Hoffmann tratto dall’opera di Offenbach “seguito” cinematografico di Scarpette rosse, dove il poeta Hoffmann racconta in 3 episodi “a colori” la sua folle ricerca della donna per la vita che si risolve però nella scoperta del male eterno. L’edizione italiana fu tagliata di 44 minuti, a scapito dei numeri musicali cioè della parte migliore del film per la bellezza delle scene disegnate, lo splendore dei costumi e la perfezione delle coreografie. Particolare non da poco è il fatto che tutti questi film sono stati caratterizzati da un uso superbo del Technicolor.
Powell e Pressburger chiusero la Archers nel 1956; la carriera di Powell fu quasi stroncata dallo scandalo sollevato dal voyeuristico “L’occhio che uccide” (Peeping Tom, 1960) diretto senza l’apporto di Pressburger.
“Io non sono un regista con uno stile personale”, ha detto Powell. “Io sono il cinema. Sono cresciuto con e attraverso il cinema; tutto quello che ho imparato l’ho imparato dal cinema; se mi sono interessato alla pittura, alla letteratura, alla musica, è stato grazie al cinema. Così, quando faccio un film come Peeping Tom, io sono il cinema. E solo qualcuno come me può fare Peeping Tom, perché è necessario identificarsi di più con il cinema che con un mondo personale.”
data: 17/04/2010