Victor Sjostrom
Il grande pioniere del cinema scandinavo.
Nasce in Svezia nel settembre del 1879, ma trascorre buona parte della sua infanzia negli Stati Uniti dove la famiglia si trasferì poco dopo la sua nascita per motivi finanziari. Torna ad Uppsala all’età di 14 anni sotto la tutela degli zii paterni e fa subito la sua prima apparizione teatrale decidendo di intraprendere la carriera di attore professionista. Quando inizia a gestire una compagnia teatrale comincia il suo percorso per divenire una delle colonne portanti dell’industria cinematografica svedese. Nel 1912 il produttore della Svenska Biografteatern gli offre un contratto, in quello stesso anno gira il suo primo film muto con la regia di Mauritz Stiller. Nel 1913 realizza Ingeborg Holm, dramma di una madre che, caduta in miseria e separata dai suoi bambini, impazzisce che mette in risalto le carenze e gli abusi nell’assistenza sociale. I film di questo primo periodo passavano con facilità dal melodramma alla commedia, e mettevano già in luce la sua maestria nel dirigere gli attori e il gusto per il montaggio semplice con l’alternarsi di pause e slanci lirici. Purtroppo tutti i film girati prima del 1916 sono andati perduti, anche se di scarso rilievo. Nel 1916 porta sullo schermo il poema di Ibsen, C’era un uomo dove si manifesta per la prima volta la rappresentazione soverchiante della natura percorsa da un senso panico e potente. Fu proprio questa possibilità di dare risalto all’elemento naturale che lo spinge verso un testo del drammaturgo islandese Johan, e dirige così quello che doveva risultare il suo capolavoro, I proscritti (1917), storia tragica di due amanti braccati in Lapponia.
Successivamente inizia a portare sullo schermo i drammi della scrittrice Selma Lageriof, a cui si sentiva affine per gusto e temperamento. Ecco allora I figli di Ingmar (1918-19) e Karin, figlia di Ingmar (1920), film nei quali tornavano pervasivamente il paesaggio e il folklore svedese. Si arriva così a Il carretto fantasma (1920), vicenda di un uomo abbrutito dall’alcool dopo un sogno terribile che lo rappresentava alla guida di un carro nel quale si raccolgevano le anime dei morti, in cui utilizza magistralmente la tecnica del flash-back e delle sovrimpressioni. Questa opera discussa e controversa, anche a casua degli eccessi di formalismo, esercita un’influenza non trascurabile sull’espressionismo tedesco e, in particolare, su Murnau. Dopo questo lavoro diviene famoso, viene chiamato dalla MGM e si trasferisce a Hollywood (dal 1924 al 1928) con lo pseudonimo di Victor Seastrom dove si dedica esclusivamente alla regia dirigendo star come Greta Garbo, John Gilbert, Lillian Gish e Norma Shearer prima di girare il suo primo film sonoro nel 1930 “Notte di peccato”. Ecco allora L’uomo che prende gli schiaffi (1924), La torre delle menzogne (1925), La lettera rossa (1926 – dal romanzo La lettera scarlatta di Hawthorne) e, soprattutto, Il vento (1928) dove ancora una volta sono gli elementi della natura aggressiva a determinare le azioni umane.
Rientra in Svezia e da allora si dedica sporadicamente alla recitazione in teatro, nel 1943 è infatti protagonista del film Ordet di Gustaf Molander. Nel 1936 viene chiamato in Inghilterra per dirigere Il manto rosso, che doveva concludere la sua carriera di regista. Negli anni Quaranta assume la direzione artistica della Svensk Film Industri, dove svolge un ruolo importante nei confronti dei giovani talenti del cinema svedese, primo fra tutti Ingmar Bergman per il quale nel 1957, all’età di settantotto anni, recita nel film Il posto delle fragole.
Così scrive Bergman riguardo Victor Sjöström come Isak Borg:
«Si era impadronito della mia anima nella figura di mio padre e se ne era appropriato… Fece tutto questo con la sovranità e l’ossessione delle grandi personalità. Non avevo nulla da aggiungere, neppure un commento ragionevole o irrazionale. Il posto delle fragole non era più il mio film, era il film di Victor Sjöström».
I film di Sjostrom contribuirono all’affermarsi del melodramma; non erano ambientati nell’epoca moderna, non c’era traccia di industrializzazione, quella rappresentata era una Svezia dipinta con i costumi tradizionali. L’idealizzazione della vita contadina e la celebrazione della natura sono i temi di fondo comuni a tutte le sue opere. La prima si esplica sia quando Sjostrom esamina i costumi a volte crudeli della vita di villaggio e quando fruga nell’intimità familiare, nella baracca, nel rifugio sulle montagne, nella casa ai margini del deserto. La seconda nasce dalla doppia scoperta che la natura è fotogenica e che il clima può produrre suspence e pathos quanto un’azione complicatissima. Insieme le due direttive del cinema di Sjostrom esplorano il rapporto inestricabile che lega l’uomo alla natura. Tecnicamente le innovazioni apportate da Sjostrom riguardano due aspetti della regìa: innanzitutto la dilatazione del tempo filmico che, riducendo l’azione consente allo spettatore di percepire la scena nei minimi dettagli e gli consente di capire i sentimenti che animano i protagonisti; in secondo luogo la presa di coscienza che anche gli ambienti, sia interni sia esterni, sono parte del film, e parlano allo spettatore.
Muore in Svezia il 3 gennaio del 1960.
data: 19/11/2009