dal 1999 testimone di un’evoluzione

L’invenzione della neve

(Mustang)

DATI TECNICI: 16:9/2.35:1 – DD 5.1 (ita)

Vittorio Moroni ha studiato regia presso la Scuola di Cinema di Milano, dove si è diplomato nel 1995, e Estetica e Filosofia presso l’Università di Milano, per poi ultimare un master presso la Universal Picture di Los Angeles nel 2000. Ha esordito alla regia con il cortometraggio Quasi una storia (1995), a cui sono seguiti Eccesso di zelo (1997), La terra vista da Marte (1998) e i documentari Disperanze, Lettera dall’India (1998), L’incontro (1999), Jequitinhonha (2001), Prove di danza per una musica nuova (2002) e Sulle tracce del gatto (2003), per poi debuttare nel lungometraggio con Tu devi essere il lupo (2004) e per ritornare nuovamente al documentario con Le ferie di Licu (2006). Come sceneggiatore ha vinto il Premio Solinas per Il sentiero del gatto (1990) e Una rivoluzione (2003). Nel 2009 è arrivato il documentario Eva e Adamo e si è passati poi alla finzione con “Se chiudo gli occhi non sono più qui” (2013); ritorna al documentario in coppia con Cécile Khindria nel 2022 con N’en parlons plus mentre lo scorso anno ritorna nuovamente alla finzione con questo suo terzo lungometraggio “L’invenzione della neve”, scritto insieme a Igor Brunello e Luca De Bei ed interpretato da Elena Gigliotti e Alessandro Averone. Sono molto interessanti le dichiarazioni del regista presenti nel pressbook del film: “Ognuna delle sei scene principali di questo film è stata girata senza interruzioni, normalmente per 20-35 minuti. L’accordo con attori, operatore di ripresa, microfonista, DOP e fonico: qualunque cosa accada durante il take, non ci fermeremo, fino alla fine della sequenza. Non ci sarà nulla che chiameremo errore, semmai variazione. Ogni imprevisto sarà una nuova opportunità. Come nel documentario, come nella vita. Ogni take è stato poi montato, con Mattia Soranzo, intrecciandolo con gli altri, per ottenere un distillato che è il film, questo film. Tutto è stato girato in diciotto giorni. Tre dedicati a ogni scena, uno per esplorarla e reinventarla nello spazio, un altro per vendemmiare, l’ultimo per sperimentare i confini e le possibilità più estreme di ciascuna situazione. La sceneggiatura è stata la mappa di un viaggio con appuntamenti imperdibili, ma senza un percorso obbligato. Unica bussola: la verità. Cioè: quanto avviene in scena, nel cuore, nei corpi, nelle relazioni tra gli attori. Con gli attori, scelti in quattro anni di casting e sottoposti a una lunga preparazione, è stato fatto uno scambio: “offri al tuo personaggio le tue esperienze, i tuoi ricordi più intimi, le tue fragilità, le tue ombre e in cambio potrai plasmarne gesti e linguaggio fino a farlo diventare te”. Ho cospirato per settimane con l’actors coach Rosa Morelli e gli attori auspicando il sorpasso, il momento in cui l’attore si fosse tanto donato e calato nel proprio personaggio da saperne più di me e più dei co-sceneggiatori, che lo avevamo inventato. Abbiamo chiesto agli interpreti di rispettare il copione nella sua essenza e non alla lettera: cioè tradendolo ogni volta che era necessario, per accedere a quella verità sottostante che era il punto di incontro tra l’attore e il personaggio. Ho chiesto ad Andrea Caccia e alla sua macchina a spalla e a Daniele Sosio con la sua asta microfono, di danzare con me e con gli attori, accettando il rischio dell’imprevisto, riprendendo senza sapere se i personaggi di fronte a loro si sarebbero fermati davanti alla finestra o avrebbero improvvisamente svoltato a destra. Accettando il rischio della perdita di fuoco, della sporcatura. E Massimo Schiavon ha concepito e organizzato le luci per danza. Tutti, per ventuno giorni, abbiamo nuotato dove non si tocca, coscienti che questo rischio era il prezzo da pagare per darci la possibilità di essere sorpresi dall’inatteso. Per ogni scena ho scelto una diversa ratio, una nuova proporzione del fotogramma, per dare allo spazio una dimensione più o meno claustrofobica. Questo film è, infatti, a suo modo, un noir, un thriller dell’anima. Carmen, la protagonista, ha una forza ancestrale, ama in un modo che il mondo non le perdona. Anche le persone a lei più care la considerano eccessiva, invadente, sbagliata, pericolosa. Carmen agisce usando bugie, manipolazioni e seduzione. Lo ha imparato da bambina, sa che sono strumenti essenziali per sopravvivere. Cerca ciò di cui non può fare a meno: sua figlia Giada. Massimo, il padre, è intrappolato in una favola che ha creato lui stesso e che ora cerca di distruggere perché altrimenti ne sarebbe distrutto. Il film cerca di portare alla luce l’umanità che si cela dietro il costante bisogno dei due di aggredirsi e di amarsi, accusarsi e difendersi. Nonostante la loro crudeltà, Carmen e Massimo sono creature giuste, a modo loro, all’interno del modello che si sono dati, l’unico che conoscono, per esistere e trovare un senso. Carmen e Massimo sono ciò che fanno, ma anche, e soprattutto, ciò che desiderano essere. [] Il film è intervallato da alcuni minuti di sequenze animate attraverso le quali viene raccontata una favola: una famiglia di sirene fugge dal fiume e impara a vivere nella giungla, ma la terra non è meno minacciosa dell’acqua… I disegni e lo stile sono quelli di Gianluigi Toccafondo: corpi fluidi che mutano continuamente in un gioco evolutivo imprevedibile. È la favola che Massimo ha inventato per sua figlia Giada. A quella favola Carmen si aggrappa con tutte le sue forze perché è l’unica speranza di salvezza e di riconciliazione. È la rivincita del suo desiderio di felicità sulla crudeltà del mondo reale. È l’invenzione della neve.”

Mustang Entertainment in collaborazione con I Wonder Pictures (che ha distribuito il film in sala) ha realizzato una valida edizione: il film è recentissimo e ci troviamo di fronte ad immagini calibrate cromaticamente, ottima la luminosità e la gestione della compressione digitale, un po’ meno la definizione generale. Il film presenta un aspect-ratio atipico: si va, infatti, dal formato panoramico delle sequenze ambientate nella vecchia casa di Carmen e Massimo allo stretto 1.33:1 delle parti ambientate nel piccolo appartamento della donna, luogo di una claustrofobia che è mentale oltre che fisica. Ma il tutto è all’interno del 2.35:1, probabilmente una precisa scelta del regista per rendere ancora più claustrofobiche le scene girate in formato quadrato o quasi. Ottima la traccia 5.1, ben separata e con un calibrato uso dei canali posteriori. Peccato trovare solo il trailer tra gli extra, menu ancora un po’ troppo “minimal”, molto bella la fascetta, stampata anche nel retro visto l’utilizzo del box trasparente. Un film imperdibile, una piccola perla del cinema italiano recente.

VOTO:    3   

data pubblicazione: 04/2024